SKILL MISMATCH: QUANDO LE COMPETENZE NON COINCIDONO


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  • 24/03/2022
  • JOB BLOG

Cosa si intende con Skill mismatch?

Lo skill mismatch è un problema che riguarda il disallineamento tra le competenze ricercate dai datori di lavoro e quelle effettivamente possedute dai lavoratori.

Questo si traduce in una difficoltà reale da parte delle aziende nel trovare lavoratori con competenze adatte alle loro richieste, e a livello globale i numeri sono preoccupanti: il problema riguarda infatti ben 1.3 miliardi di persone, ben 10 milioni in Italia.

La causa principale dello skill mismatch è da ricercare nel sistema educativo: mentre il lavoro cambia, si evolve e la produzione si ammoderna, non si può dire lo stesso di istituti e università. L’Italia risulta diciassettesima per laureati in materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e ventunesima per competenze digitali.

Un’indagine di BCG (Global Management Consulting) pubblicata a fine 2020 ha rilevato che nei Paesi Ocse almeno un lavoratore su tre è sovra qualificato o sotto qualificato.

Inoltre, la mancanza di competenze e lo scollamento tra domanda e offerta incidono ogni anno di più sul Pil globale.

Conseguenze dello skill mismatch

La questione è particolarmente sentita nel settore ICT e in quello dei servizi professionali di carattere tecnico/scientifico, in quanto spesso gli studenti non vengono preparati o direzionati a dovere verso questo genere di percorso di studi, con conseguente penuria di laureati.

La mancanza di professionisti ICT in Italia non è una novità, ma ancora non sono state adottate strategie. Certamente il mercato del lavoro italiano non è in grado di garantire salari abbastanza alti da incoraggiare gli studenti a investire su materie percepite come difficili e dal lungo percorso accademico. In più, mancano informazioni sulle prospettive reali di carriera negli ambiti lavorativi interessati a queste skill; fatta eccezione per qualche nome, le università italiane non coltivano né sviluppano legami con le industrie, utili invece a favorire collaborazioni e facilitare la transizione degli studenti dall’accademia al mercato del lavoro.

Questa mancanza di figure nell’ambito ICT è un divario incolmabile rispetto alle altre realtà europee, se consideriamo che nel 2020 In Italia meno del 40% dei lavoratori di questo settore ha un titolo di studio universitario (contro il 66% dell'UE). In termini occupazionali, poi, il numero degli specialisti è aumentato di circa il 77% in Francia, del 50% in Germania e del 35% in Spagna nei dieci anni dal 2010 al 2020, ma in Italia siamo rimasti fermi a un misero 18%.

L’aumento del fenomeno dello skill mismatch si ripercuote sulle prestazioni del Paese, incidendo sull’innovazione, la produttività e lo sviluppo sostenibile. La pandemia ci ha messo del suo accelerando i processi di digitalizzazione e automazione, apportando un’ulteriore pressione sul sistema formativo affinché tenga il passo, ma i dati emersi non sono stati buoni: ben 4 aziende su 10 non riescono a trovare il lavoratore giusto da assumere.

In Italia, per far fronte a questa situazione di skill mismatch in ambito STEM, a partire dal 2012 è stato introdotto il sistema ITS, ovvero scuole di alta specializzazione che forniscono competenze tecniche e tecnologiche in base a programmi formativi, adattati alle varie specializzazioni. Dalle prime analisi risulta che queste scuole sono molto efficaci nel fornire competenze richieste dal mercato e offrono, quindi, buone prospettive di occupazione.

Cosa devono fare le aziende?

L’Osservatorio Competenze Digitali suggerisce di accelerare nella formazione di competenze digitali avanzate a tutti i livelli, da quella universitaria specialistica alla ricerca, sviluppo e innovazione, alla cultura digitale nei corsi accademici, fino alle iniziative di upskilling e reskilling delle professioni ICT tradizionali.

Questo permetterà di rifondare la competitività imprenditoriale italiana su cultura e competenze digitali.

Le aziende possono intanto cambiare le modalità con cui effettuano le ricerche del personale, ampliando la ricerca di talenti in bacini di solito tenuti poco in considerazione, come ad esempio:

  • lavoratori meno giovani, che vantano un bagaglio di esperienze più ampio;
  • lavoratori diversamente abili;
  • talenti esteri.

Anche i recruiter devono cambiare approccio e modalità di inserimento: i cv vanno visionati con attenzione, valutando non solo le specifiche skills ma anche le soft skills. La conoscenza con il candidato dovrà avvenire quanto più possibile dal vivo, e il concetto di "diversità" deve essere ampliato. La disuguaglianza in ambito lavorativo, infatti, non riguarda solo il genere o l’etnia ma spesso anche l’aspetto socio-economico.

Così come le attività di formazione sono necessarie ai lavoratori, anche i recruiter devono continuare a formarsi e informarsi sui continui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, per restare al passo coi tempi e non lasciarsi scappare ottime opportunità con i candidati.

Secondo te come si può ovviare al problema dello skill mismatch?

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